L’acquacoltura è un’alternativa sostenibile alla pesca?

La domanda di pesce è in aumento in tutto il mondo, ma gli stock ittici stanno diminuendo a causa della pesca eccessiva e dei metodi di cattura dannosi per l’ambiente. Sempre più pesci e animali marini (come calamari, gamberi, granchi, aragoste, cozze) vengono quindi allevati in acquacoltura, in vasche artificiali a terra o in recinzioni nei fiumi e nei mari.

Le più comuni sono le acquacolture in gabbia: pesci come salmoni, trote o pangasio vengono allevati in gabbie o recinti di rete ancorati al fondo di laghi, coste, fiordi o acque salmastre. Le fattorie offshore nell’acquacoltura sono invece grandi gabbie o piattaforme fluttuanti che si trovano in mare aperto, lontano dalla costa. Le acquacolture terrestri utilizzano stagni artificiali (per esempio per carpe, ciclidi o trote), canali d’acqua, vasche o impianti a circuito chiuso, dove l’acqua utilizzata circola grazie a pompe e sistemi di filtraggio. Una forma speciale di impianto a circuito sono i sistemi acquaponici, che combinano l’allevamento di pesci con la produzione di piante.

Nel 2022 l’acquacoltura ha prodotto per la prima volta più pesci e animali marini (oltre 94 milioni di tonnellate) rispetto alla pesca (91 milioni di tonnellate). La maggior parte della produzione globale di acquacoltura (oltre il 91%, compresa la coltivazione di alghe) proviene dall’Asia. I principali produttori sono Cina, India, Indonesia, Vietnam e Perù.

“Le organizzazioni per la protezione degli animali e le associazioni di consumatori sottolineano regolarmente l’impatto ecologico dell’acquacoltura intensiva, in particolare quella dei pesci predatori”, afferma Silke Raffeiner nutrizionista presso il Centro Tutela Consumatori Utenti. Queste acquacolture presentano problemi simili a quelli dell’allevamento intensivo a terra: pesci e animali marini vengono tenuti in spazi ristretti e in grandi quantità, condizione che li rende più vulnerabili a malattie e parassiti (come il virus che colpisce i salmoni, i pidocchi di mare), il che a sua volta provoca un maggiore utilizzo di sostanze chimiche e farmaci, in particolare antibiotici. I fondali sotto le gabbie e le recinzioni, così come le acque circostanti, vengono pertanto inquinati da residui di mangime, escrementi, sostanze chimiche e rifiuti plastici. I pesci predatori allevati vengono nutriti con pesce catturato in natura, proveniente in parte dalla pesca mirata (per esempio le acciughe) e in parte da quella accidentale (bycatch). In questo modo i pesci predatori allevati vanno a competere per il cibo con i pesci predatori che vivono in libertà, favorendo indirettamente la pesca eccessiva e “legittimando” la pratica del bycatch. In alcuni paesi asiatici, preziosi habitat costituiti dalle foreste di mangrovie vengono distrutti per fare spazio alle vasche per l’allevamento di gamberi. Non da ultimo, i prodotti devono percorrere vie di trasporto lunghe migliaia di chilometri dai paesi produttori ai luoghi di consumo. Le acquacolture intensive generano quindi una serie di problemi aggiuntivi e pertanto non rappresentano affatto un’alternativa sostenibile alla pesca.

In internet sono disponibili diverse guide al consumo sostenibile del pesce, come per esempio quella del WWF (https://www.wwf.it/cosa-facciamo/mari-e-oceani/consumo-responsabile/pesce-sostenibile/).

 

 

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