Che le palline al rum contengano alcol non è una novità. Non tutti sanno però che anche composte, marmellate, zuppe, torte, cibi a base di carne e pesce possono contenere dell’alcol nascosto (etanolo) come ingrediente o esaltatore di sapidità.
Per molte persone queste esigue quantità d’alcol non costituiscono alcun problema. La questione è diversa nel caso dei bambini che non dovrebbero mai assumere alcol, poiché il consumo regolare di alcol, anche se in minima parte attraverso questi alimenti, potrebbe condurre a un’assuefazione precoce al suo gusto. Alle donne incinte o che allattano viene generalmente sconsigliato il consumo di alcol. Alcune persone rinunciano all’alcol per motivi religiosi. Non da ultimo, il consumo di tali alimenti non è indicato per le persone che hanno trovato una via d’uscita dalla dipendenza da alcol e devono evitarlo sistematicamente, poiché anche la minima quantità o il sapore possono provocare una ricaduta nella dipendenza. Per tutti questi soggetti è importante sapere se un alimento è stato addizionato di alcol.
Alcuni alimenti, tra cui succhi di frutta, pane, kefir e kombucha, contengono alcol per natura, dato che una parte dello zucchero presente in essi viene scomposta da microorganismi (funghi del lievito, batteri dell'acido acetico) portando alla formazione di alcol. Dal momento che questo contenuto “naturale” di alcol normalmente non supera la concentrazione volumetrica di 0,3% e l’alimento non presenta sapore alcolico, tale contenuto viene considerato irrilevante.
Al contrario, alcuni prodotti dolciari (ad es. gelati al cioccolato, praline, torte, cioccolate) e cibi come composte e marmellate sono a volte addizionati di liquore (ad es. amaretto, liquore all’uovo, rum, acquavite di frutta o vino). Le ricette per zuppe e salse, per la classica fonduta di formaggio, per risotti e piatti di carne e di pesce prevedono spesso l’aggiunta di vino o altre bevande alcoliche per insaporire il piatto.
“Nel caso di prodotti alimentari preconfezionati, l’alcol o la bevanda alcolica utilizzati devono essere segnalati esattamente come gli altri ingredienti”, spiega Silke Raffeiner, nutrizionista presso il Centro Tutela Consumatori Utenti. “Nell’elenco degli ingredienti si possono trovare pertanto indicazioni come “etanolo”, “alcol etilico”, “alcol per usi alimentari”, “rum” e simili.”
Tuttavia, se gli alimenti sono venduti sfusi, non è obbligatorio documentare l’intera lista degli ingredienti – e pertanto nemmeno l’alcol – bensì soltanto quelli allergenici. Lo stesso vale per la ristorazione. Inoltre, l’etanolo agisce anche come conservante, ad esempio negli estratti di frutta, e come solvente per gli aromi. Anche in questo caso, cioè se l’alcol viene utilizzato come eccipiente, non deve essere indicato nell’elenco degli ingredienti.
Dal punto di vista della tutela del consumatore, l’attuale etichettatura degli alimenti contenenti alcol è insufficiente. Risulta quindi necessaria l’introduzione di un elemento in etichetta che segnali a prima vista l’aggiunta di alcol nell’alimento, ad esempio attraverso un pittogramma.
Contrariamente a quanto si crede, durante la cottura in pentola o al forno, l’etanolo evapora in gran parte, ma non completamente. Dopo 30 minuti di cottura può essere ancora presente circa un terzo della quantità d’alcol. Pertanto, le persone che devono o vogliono rinunciare all’alcol farebbero bene a chiedere – al ristorante, in mensa, in gelateria, pasticceria o ai produttori di alimenti – quali prodotti o cibi sono stati preparati con l’uso di alcol.